Avete presente quelle storie sdolcinate, in un castello sfarzoso con una principessa bellissima e un principe affascinante come non mai? Si? Ecco, rimuovetele dalla vostra testa.
Lui è Erjon, un uomo sulla quarantina.Viene dai balcani ma non ha voluto specificare da quale paese di preciso. E' orfano della vecchia Iugoslavia, la guerra lo ha segnato. Quasi quattro anni di bombardamenti, lui li ha vissuti quasi tutti. Quasi perchè era in cerca di una via d'uscita, scappare stava diventando la sua ambizione di vita, per la sua vita. Erjon è cresciuto nella povertà, il piccolo paesello dove viveva non gli ha garantito un'infanzia come quella di altri bambini. Lui è il terzo di sette fratelli, l'esempio da seguire visto che i due fratelli maggiori si erano arruolati nell'esercito, a casa non restava altro che lui. La mattina a scuola, il pomeriggio nei campi, la sera portava al padre il guadagno della giornata. La giornata tipo era questa. I soldatini ? Probabilmente neanche sapeva esistessero questi tipi di giocattoli. L'unica passione che nutriva sottotraccia era il pallone, le partite di calcio a piedi scalzi sul campetto (quasi un'eresia chiamarlo così) della chiesetta del suo paesino provocavano ferite sui propri piedi. Ma probabilmente i sassolini che provocavano quei taglietti erano meno dolorosi della situazione in cui viveva. Voleva di più. Era ambizioso. La notte sognava una famiglia, dei bambini da crescere, dei bambini a cui regalare un futuro. Ma un futuro vero e soprattutto un'infanzia. E sicuramente non quella che stava vivendo lui. La scuola non lo faceva impazzire, ma nel lavoro ci metteva l'anima. Le caprette della fattoria del vicino di casa, dove tutti i pomeriggi andava a lavorare, si sentivano a loro agio solo con lui. A lui probabilmente interessava più quello rispetto al titolo di studio che la scuola poteva regalargli. La dittatura camuffata in una repubblica nel frattempo andava, lacerava chi ci viveva. Il ragazzino che lavorava stava crescendo, nel gregge che gestiva ogni pomeriggio erano morte 3 caprette. "La vita va avanti" pensò, la sua pure. Iniziava a capire con molta più lucidità come andavano le cose, la voglia di andarsene cresceva. Il ragazzo era sveglio, intelligente, ma lasciò la scuola. La sua famiglia aveva bisogno di soldi. Dovette lasciare tutto, anche la sua più grande passione: il calcio. La sua vita continuò per davvero, la guerra era alle porte e lui stava architettando un modo per scappare. Lasciare tutto e tutti e scappare via. Ragionò, ci penso tanto. Nel frattempo le bombe inizialmente sovrastarono la sua testa, il rumore e i morti di quella guerra lo fecero ragionare. Probabilmente un senso di colpa lo assalì. Sperava di non risultare egoista, di mollare tutto e tutti solo per trovare una vita più serena. Ci pensò circa due anni. Se ne andò. In una notte, buia, piovosa. Era riuscito a trovare un pulmino che arrivasse a Spalato per partire su una piccola imbarcazione, una nave non molto grande dove però la gente, come al solito, era tanta, forse troppa. All'01:34 partì. Si ricordò di quel particolare perchè colui che guidava l'imbarcazione aveva un orologio, bellissimo alla sua vista visto che in vita sua sul braccio non ebbe mai bracciali o gadget del genere, al massimo un po' di terra. Il braccio sporco per lui era un'abitudine. Comunque sia chiese l'ora. Arrivò nel porto di Ortona, in mattinata. Rimase sveglio tutta la notte. Pensò a cosa fare una volta arrivato, ma sicuramente la gioia era davvero troppo grande. Quella preoccupazione così grande all'apparenza davanti alla sua gioia era davvero insulsa, piccolissima. In quel viaggio decise due cose. Dove andare e poi una volta arrivati a destinazione pensare a cosa fare. Rimandò infatti la scelta sul come campare una volta arrivato in quella città. Gli ultimi mesi di vita nella sua vecchia realtà avevano fruttato qualcosa in più rispetto al normale. Si trovò un altro lavoro, oltre a quello che aveva nella fattoria del suo vicino, dove però con il passare degli anni iniziò ad assumere sempre più responsabilità. Da parte aveva messo qualcosina. Aveva lavorato giorno e notte. Il suo sogno voleva realizzarlo. Scelse di andare in Puglia. Ah, la Puglia. Per lui sembrava il paradiso. Se ricollega un pensiero positivo alla scuola è per la Puglia. Studiando geografia sul libro una volta vide la foto di una costa pugliese. Sognava. Comprò un biglietto per Brindisi. Ci arrivò. E una volta lì si unì ad un gruppo di immigrati che come lui erano arrivati in Italia in cerca di qualcosa di migliore. Il suo racconto ebbe una brusca frenata. Tralasciò i particolari dei 3 anni successivi all'anno del suo sbarco. Erjon non racconta come, quando, quanto ci abbia messo a crearsi una vita. Sappiamo solo che visse 3 anni di blackout. Nessun contatto con i suoi. Zero. Venne a sapere che la guerra in Jugoslavia era finita e venne anche a sapere che due dei suoi fratelli, quelli militari morirono. Seppe anche che la guerra in realtà non era davvero finita. Infatti da lì a poco sarebbe scoppiata quella del Kosovo. Ebbe una crisi. Pensò che loro furono davvero coraggiosi e devoti alla loro terra, mentre lui girò semplicemente le spalle. Ci provò. Cercò di ricollegare i rapporti con i suoi genitori. Se ne era andato via senza dire niente ai suoi, spiegò la sua situazione solo a suo fratello, il quarto, con cui aveva un rapporto speciale. Riuscì a trovare il modo di fargli arrivare le sue lettere, suo fratello gli spiegò che i suoi lo avevano dimenticato, come se non ci fosse mai stato. Come se fossero tre i figli persi. Lui si sentì davvero morire. Ma andò avanti. Voleva tornare in quel paese perchè in fondo in fondo un sentimento di amore per la terra che lo ha cresciuto lo aveva. Le caprette del vicino gli mancavano. Il racconto ricominciò. Un posto dove dormire lo aveva trovato. Inizialmente dormiva in una parrocchia, un parroco lo aveva conosciuto e lo aveva preso a lavorare con lui. Passò parecchi mesi lì dentro prima di trovare un altro lavoretto. Muratore. Lo prese un amico del parroco, la sua referenza fu fondamentale. Alla fine dopo qualche settimana iniziò a capire il mestiere. Se non fosse stato per il parroco lo avrebbero sbattuto fuori dopo pochi giorni, ma viste le pressioni del don il datore di lavoro si convinse ad assumerlo. La guerra in Kosovo finì. Conobbe una ragazza bellissima, era kosovara. Aveva più o meno la sua stessa storia, era scappata anche lei dal suo paese, da quella Jugoslavia perchè voleva una vita decente. Libera. La libertà, quel concetto così strano da vivere in quel contesto, ora era alla loro portata. Erano liberi di conoscersi, di prendersi un caffè, una pizza, un gelato assieme solo per il gusto di vedersi e stare un po' insieme senza l'assillo dei bombardamenti. Andarono a vivere insieme. Anche lei aveva interrotto bruscamente il rapporto con i suoi genitori. Era venuta in Italia grazie all'aiuto di una zia che le aveva mandato i soldi per il biglietto per arrivare fin lì. I suoi odiavano lei e quella zia. Tutti e due però dopo la fine della guerra iniziarono a cercare di riallacciare i rapporti con i propri parenti. Decisero di tornare nelle loro terre. Per il perdono. Perchè avevano bisogno realmente dei loro genitori. Quelle figure così all'apparenza piene di distacco nel periodo di povertà e rigidi avevano comunque tanta dolcezza da dimostrare. Forse erano così solo a causa del contesto, la loro rigidità era dovuta alla preoccupazione, forse anche ai modi di quei tempi. Fatto sta che loro non vedevano l'ora di rivederli e di riabbracciarli soprattutto. Erjon durante il periodo in cui aveva trovato il lavoro di muratore dalla busta paga toglieva una parte di soldi e li metteva da parte. Ha sempre pensato ai suoi genitori. Voleva aiutarli in qualche modo. Riuscirono a fare pace in qualche modo con loro, tutti e due. Le parole dure, contaminate dalla rabbia e dalla guerra si sono smaterializzate di fronte all'amore vero. Sopra il cielo dell'ex-Jugoslavia non volavano più bombe, in terra la gente cercava di ricostruirsi una vita. La coppia tornò in Italia, nella loro casa. Negli anni la coppia riuscì a far venire diversi volte a turno i propri genitori. Erjon ritrovò la felicità, era finalmente libero. Tornò anche a giocare a calcio. Iniziò a giocare per una squadra in un campionato dilettantistico. A lui interessava divertirsi, ora lo fa. E' padre di 3 bimbi. La loro famiglia è unita ma le difficoltà ci sono sempre. Erjon infatti cresciuto con un'educazione diversa è costretto ad aprirsi a questa cultura. I suoi figli ormai adolescenti infatti per stare al passo col tempo fanno cose che lui non avrebbe mai pensato di fare nella sua vita, da ragazzino. Eppure lo fa. Si sacrifica per loro, si sveglia la mattina alle 5 e un quarto ogni mattina, ogni giorno. Tranne la domenica. La domenica prende moglie e figli e li porta fuori. Erjon ora si siede sul divano col sorriso al ritorno dal lavoro. Si toglie le scarpe sporche da schizzi di cemento, i pantaloni con chiazze di intonaco e il suo maglione in pile con colori sgargianti per riscaldarlo dal freddo. Si fa una doccia, i capelli impolverati sembrano rimarcare i capelli grigi. Esce fuori e può abbracciare finalmente i suoi figli. Erjon si è ambientato benissimo nell'ambiente in cui vive, si è costruito una vita da solo. Ha il rispetto di tutti, tranne quello di alcuni invidiosi. Ma a lui non frega niente. Va avanti per la sua strada, si era promesso di creare una vita nuova ma soprattutto la cosa più importante. Non far vivere la stessa infanzia che ha vissuto lui nel suo paese ai suoi figli. La risposta ? La sua sveglia. Le 5 e un quarto. Un nuovo giorno per rendere felice i suoi figli, sua moglie ma soprattutto lui stesso. I sacrifici di un immigrato, integrato in Italia. Alla faccia della criminalità, c'è chi protesta e chi si rimbocca le maniche per cambiare la propria vita. Lui si è rimboccato le maniche e se ci facciamo caso lì fuori, nel mondo reale, ce ne sono ancora tanti. La faccia pulita dell'immigrazione. Crediamoci.
Lui è Erjon, un uomo sulla quarantina.Viene dai balcani ma non ha voluto specificare da quale paese di preciso. E' orfano della vecchia Iugoslavia, la guerra lo ha segnato. Quasi quattro anni di bombardamenti, lui li ha vissuti quasi tutti. Quasi perchè era in cerca di una via d'uscita, scappare stava diventando la sua ambizione di vita, per la sua vita. Erjon è cresciuto nella povertà, il piccolo paesello dove viveva non gli ha garantito un'infanzia come quella di altri bambini. Lui è il terzo di sette fratelli, l'esempio da seguire visto che i due fratelli maggiori si erano arruolati nell'esercito, a casa non restava altro che lui. La mattina a scuola, il pomeriggio nei campi, la sera portava al padre il guadagno della giornata. La giornata tipo era questa. I soldatini ? Probabilmente neanche sapeva esistessero questi tipi di giocattoli. L'unica passione che nutriva sottotraccia era il pallone, le partite di calcio a piedi scalzi sul campetto (quasi un'eresia chiamarlo così) della chiesetta del suo paesino provocavano ferite sui propri piedi. Ma probabilmente i sassolini che provocavano quei taglietti erano meno dolorosi della situazione in cui viveva. Voleva di più. Era ambizioso. La notte sognava una famiglia, dei bambini da crescere, dei bambini a cui regalare un futuro. Ma un futuro vero e soprattutto un'infanzia. E sicuramente non quella che stava vivendo lui. La scuola non lo faceva impazzire, ma nel lavoro ci metteva l'anima. Le caprette della fattoria del vicino di casa, dove tutti i pomeriggi andava a lavorare, si sentivano a loro agio solo con lui. A lui probabilmente interessava più quello rispetto al titolo di studio che la scuola poteva regalargli. La dittatura camuffata in una repubblica nel frattempo andava, lacerava chi ci viveva. Il ragazzino che lavorava stava crescendo, nel gregge che gestiva ogni pomeriggio erano morte 3 caprette. "La vita va avanti" pensò, la sua pure. Iniziava a capire con molta più lucidità come andavano le cose, la voglia di andarsene cresceva. Il ragazzo era sveglio, intelligente, ma lasciò la scuola. La sua famiglia aveva bisogno di soldi. Dovette lasciare tutto, anche la sua più grande passione: il calcio. La sua vita continuò per davvero, la guerra era alle porte e lui stava architettando un modo per scappare. Lasciare tutto e tutti e scappare via. Ragionò, ci penso tanto. Nel frattempo le bombe inizialmente sovrastarono la sua testa, il rumore e i morti di quella guerra lo fecero ragionare. Probabilmente un senso di colpa lo assalì. Sperava di non risultare egoista, di mollare tutto e tutti solo per trovare una vita più serena. Ci pensò circa due anni. Se ne andò. In una notte, buia, piovosa. Era riuscito a trovare un pulmino che arrivasse a Spalato per partire su una piccola imbarcazione, una nave non molto grande dove però la gente, come al solito, era tanta, forse troppa. All'01:34 partì. Si ricordò di quel particolare perchè colui che guidava l'imbarcazione aveva un orologio, bellissimo alla sua vista visto che in vita sua sul braccio non ebbe mai bracciali o gadget del genere, al massimo un po' di terra. Il braccio sporco per lui era un'abitudine. Comunque sia chiese l'ora. Arrivò nel porto di Ortona, in mattinata. Rimase sveglio tutta la notte. Pensò a cosa fare una volta arrivato, ma sicuramente la gioia era davvero troppo grande. Quella preoccupazione così grande all'apparenza davanti alla sua gioia era davvero insulsa, piccolissima. In quel viaggio decise due cose. Dove andare e poi una volta arrivati a destinazione pensare a cosa fare. Rimandò infatti la scelta sul come campare una volta arrivato in quella città. Gli ultimi mesi di vita nella sua vecchia realtà avevano fruttato qualcosa in più rispetto al normale. Si trovò un altro lavoro, oltre a quello che aveva nella fattoria del suo vicino, dove però con il passare degli anni iniziò ad assumere sempre più responsabilità. Da parte aveva messo qualcosina. Aveva lavorato giorno e notte. Il suo sogno voleva realizzarlo. Scelse di andare in Puglia. Ah, la Puglia. Per lui sembrava il paradiso. Se ricollega un pensiero positivo alla scuola è per la Puglia. Studiando geografia sul libro una volta vide la foto di una costa pugliese. Sognava. Comprò un biglietto per Brindisi. Ci arrivò. E una volta lì si unì ad un gruppo di immigrati che come lui erano arrivati in Italia in cerca di qualcosa di migliore. Il suo racconto ebbe una brusca frenata. Tralasciò i particolari dei 3 anni successivi all'anno del suo sbarco. Erjon non racconta come, quando, quanto ci abbia messo a crearsi una vita. Sappiamo solo che visse 3 anni di blackout. Nessun contatto con i suoi. Zero. Venne a sapere che la guerra in Jugoslavia era finita e venne anche a sapere che due dei suoi fratelli, quelli militari morirono. Seppe anche che la guerra in realtà non era davvero finita. Infatti da lì a poco sarebbe scoppiata quella del Kosovo. Ebbe una crisi. Pensò che loro furono davvero coraggiosi e devoti alla loro terra, mentre lui girò semplicemente le spalle. Ci provò. Cercò di ricollegare i rapporti con i suoi genitori. Se ne era andato via senza dire niente ai suoi, spiegò la sua situazione solo a suo fratello, il quarto, con cui aveva un rapporto speciale. Riuscì a trovare il modo di fargli arrivare le sue lettere, suo fratello gli spiegò che i suoi lo avevano dimenticato, come se non ci fosse mai stato. Come se fossero tre i figli persi. Lui si sentì davvero morire. Ma andò avanti. Voleva tornare in quel paese perchè in fondo in fondo un sentimento di amore per la terra che lo ha cresciuto lo aveva. Le caprette del vicino gli mancavano. Il racconto ricominciò. Un posto dove dormire lo aveva trovato. Inizialmente dormiva in una parrocchia, un parroco lo aveva conosciuto e lo aveva preso a lavorare con lui. Passò parecchi mesi lì dentro prima di trovare un altro lavoretto. Muratore. Lo prese un amico del parroco, la sua referenza fu fondamentale. Alla fine dopo qualche settimana iniziò a capire il mestiere. Se non fosse stato per il parroco lo avrebbero sbattuto fuori dopo pochi giorni, ma viste le pressioni del don il datore di lavoro si convinse ad assumerlo. La guerra in Kosovo finì. Conobbe una ragazza bellissima, era kosovara. Aveva più o meno la sua stessa storia, era scappata anche lei dal suo paese, da quella Jugoslavia perchè voleva una vita decente. Libera. La libertà, quel concetto così strano da vivere in quel contesto, ora era alla loro portata. Erano liberi di conoscersi, di prendersi un caffè, una pizza, un gelato assieme solo per il gusto di vedersi e stare un po' insieme senza l'assillo dei bombardamenti. Andarono a vivere insieme. Anche lei aveva interrotto bruscamente il rapporto con i suoi genitori. Era venuta in Italia grazie all'aiuto di una zia che le aveva mandato i soldi per il biglietto per arrivare fin lì. I suoi odiavano lei e quella zia. Tutti e due però dopo la fine della guerra iniziarono a cercare di riallacciare i rapporti con i propri parenti. Decisero di tornare nelle loro terre. Per il perdono. Perchè avevano bisogno realmente dei loro genitori. Quelle figure così all'apparenza piene di distacco nel periodo di povertà e rigidi avevano comunque tanta dolcezza da dimostrare. Forse erano così solo a causa del contesto, la loro rigidità era dovuta alla preoccupazione, forse anche ai modi di quei tempi. Fatto sta che loro non vedevano l'ora di rivederli e di riabbracciarli soprattutto. Erjon durante il periodo in cui aveva trovato il lavoro di muratore dalla busta paga toglieva una parte di soldi e li metteva da parte. Ha sempre pensato ai suoi genitori. Voleva aiutarli in qualche modo. Riuscirono a fare pace in qualche modo con loro, tutti e due. Le parole dure, contaminate dalla rabbia e dalla guerra si sono smaterializzate di fronte all'amore vero. Sopra il cielo dell'ex-Jugoslavia non volavano più bombe, in terra la gente cercava di ricostruirsi una vita. La coppia tornò in Italia, nella loro casa. Negli anni la coppia riuscì a far venire diversi volte a turno i propri genitori. Erjon ritrovò la felicità, era finalmente libero. Tornò anche a giocare a calcio. Iniziò a giocare per una squadra in un campionato dilettantistico. A lui interessava divertirsi, ora lo fa. E' padre di 3 bimbi. La loro famiglia è unita ma le difficoltà ci sono sempre. Erjon infatti cresciuto con un'educazione diversa è costretto ad aprirsi a questa cultura. I suoi figli ormai adolescenti infatti per stare al passo col tempo fanno cose che lui non avrebbe mai pensato di fare nella sua vita, da ragazzino. Eppure lo fa. Si sacrifica per loro, si sveglia la mattina alle 5 e un quarto ogni mattina, ogni giorno. Tranne la domenica. La domenica prende moglie e figli e li porta fuori. Erjon ora si siede sul divano col sorriso al ritorno dal lavoro. Si toglie le scarpe sporche da schizzi di cemento, i pantaloni con chiazze di intonaco e il suo maglione in pile con colori sgargianti per riscaldarlo dal freddo. Si fa una doccia, i capelli impolverati sembrano rimarcare i capelli grigi. Esce fuori e può abbracciare finalmente i suoi figli. Erjon si è ambientato benissimo nell'ambiente in cui vive, si è costruito una vita da solo. Ha il rispetto di tutti, tranne quello di alcuni invidiosi. Ma a lui non frega niente. Va avanti per la sua strada, si era promesso di creare una vita nuova ma soprattutto la cosa più importante. Non far vivere la stessa infanzia che ha vissuto lui nel suo paese ai suoi figli. La risposta ? La sua sveglia. Le 5 e un quarto. Un nuovo giorno per rendere felice i suoi figli, sua moglie ma soprattutto lui stesso. I sacrifici di un immigrato, integrato in Italia. Alla faccia della criminalità, c'è chi protesta e chi si rimbocca le maniche per cambiare la propria vita. Lui si è rimboccato le maniche e se ci facciamo caso lì fuori, nel mondo reale, ce ne sono ancora tanti. La faccia pulita dell'immigrazione. Crediamoci.
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