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venerdì 11 gennaio 2019

Lettera a mio padre


Per quanto sia impossibile trascrivere su un foglio di carta le emozioni, io credo che sia necessario provare a farlo. Lo penso continuamente tutti i giorni, ci provo ogni volta che riesco. Ma con te, caro papà, non è come farlo per un semplice avvenimento della vita, o per qualsiasi altra persona sulla terra. Per te e per la mamma, perché altrimenti si sente meno importante e non sia mai che poi mi chiama. Ma oggi in questo caso volevo dirti un po' di cose che pensavo fosse giusto rimanessero da qualche parte in qualche modo, e che forse non sono stato e mai sarò in grado di dirti in faccia. 


Sia chiaro, non è perché mi stai diventando grande eh, non è perché c'hai qualche capello bianco in più, anche perché quelli ho notato che son cresciuti un po' anche a me sul ciuffo davanti. Lo faccio perché credo sia giusto, necessario, nei tuoi confronti. Rispetto alla persona che sei, che dimostri ogni giorno della tua vita, almeno da quando ti conosco, ma sono altrettanto sicuro che fossi così anche prima di conoscermi. Sei bravo a nascondere e celare la tua bontà d'animo, dietro ad una rocciosa figura, anche se in realtà non sei così alto e grande di corporatura, ma sei spesso. Nel senso che hai tanti strati che coprono bene un po' di quello che tanti non vogliono sapere. Ed è meglio così, perché non sei davvero per tutti, anche se ti fai voler bene da tutti. Ho saputo a posteriori, però, che quella figura così tosta e inscalfibile alla mia vista, durante la mia adolescenza almeno, in realtà mi aveva donato la sua vita, anima e corpo. Quella durezza di carattere, che scontrata contro un muro di cemento armato non si rovinerebbe per niente, ti ha soltanto portato qualche ruga in più sul viso e sulla fronte, che un po' mi sembrano le stesse del nonno. Le stesse che hai tramandato a me, oltre al suo nome che porto, e che ammetto sia una gran botta di culo, considerando che tre quarti dei nomi albanesi in circolazione fanno veramente cagare.

Ma quelle rughe, quei segni, dimostrano la fame che hai avuto e la fatica che hai fatto per prenderti pezzo per pezzo il futuro che immaginavi nella tua testa anni fa. E che hai materializzato in parte anche con me, che non so se sono la realizzazione di quello che immaginavi di preciso, ma mi piace pensare un pochino di sì. So per certo che il tuo modo di essere, per me è testimonianza, e i valori che mi hai dato sono una costituzione. Che valgono più di qualsiasi altra cosa al mondo. Penso che è passato un po' di tempo, ma percepisco l'amore e la tranquillità che silenziosamente mi hai trasmesso fin da bambino. Quando mi tenevi in braccio al parco, o mi portavi in giro da una parte all'altra. Penso a quando mi portavi al bar, vicino la chiesa, prendevi il tuo caffè e mi perdevi di vista un attimo. Poi venivi incontro verso il mio tavolo, dove mi ero seduto nell'intento di provare a leggere un quotidiano sportivo e probabilmente ti chiedevi che cosa diamine mi attirasse di quel pezzo di carta. Ma intuivi quanto ci stessi attaccato, da non mollarlo nemmeno di fronte ad uno dei vecchi che passavano di lì, nella speranza che si liberasse finalmente dalle mie grinfie. E mi sostenevi. Anzi, permettevi a uno di loro di chiedermi cosa ci fosse scritto sopra quella carta e di fronte alla mia pronta risposta reagivi sogghignando, di fronte allo stupore degli anziani sconfitti. Avevo quattro anni e mezzo, ma in realtà su quel tavolo del bar io ci sono ancora seduto adesso, aspettando che qualche signore mi chieda cosa c'è scritto sul giornale e che tu reagisca ridendo.  

Arrivo al dunque, perché probabilmente già ti sarai rotto le scatole arrivato a questo punto. Ti avrò fatto dannare l'anima in tutti questi anni, ma se sono quello che sono, il merito – o la colpa – è tutta tua (e della mamma). Per cui: tanti auguri papà, non sono lì fisicamente, ma conta come se ci fossi.  

Ti voglio bene,

Mark


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