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sabato 7 dicembre 2019

Colpa di Spotify

Scrubs Air Band - More Than a Feeling by Boston

Da bambino atipico, quale sono stato, ho consumato ogni tipo di programma televisivo. A 3 anni potrei essere incappato alle 2 di notte in "Sottovoce" su Rai 1 con Gigi Marzullo. Anzi, ci tengo a salutare e ringraziare il mitico Gigi, anche se credo che per qualche piccolo imprevisto non riuscirà mai a leggere questo post. Nella vecchia Mtv, che nostalgia, c'era un telefilm meraviglioso, che tutt'ora mi accompagna, chiamato "Scrubs". Nel nono episodio della quinta stagione un momento ha segnato, più di quanto abbia fatto Gigi Marzullo, la mia vita. Sul mio Mivar, all'epoca all'avanguardia, comparvero i mitici "Coolcats" sulle note della iconica More than a feeling dei Boston.

Come l'apparizione della Madonna di Medjugorje mi sono imbattuto per una delle prime volte nella genialità pura, con la bocca spalancata di fronte al mio meraviglioso Mivar. Negli anni quella visione mi rimase in testa. Forse mi avvicinai alla passione per la batteria proprio grazie al fattorino Lloyd, che con discreta bravura imitava il giro di "tom-tom" dei Boston. Arrivarono i cd masterizzati home made, le compilation con la musica scaricata da programmi al limite della legalità (saluto anche la polizia postale, ma vi giuro che non è come sembra), i primi mp3, gli iPod, fino ad arrivare nell'era di Spotify. Benché io sia un appassionato di vinili, di supporti fisici (che questi acquisto davvero legalmente, cara polizia postale, se può servire a migliorare la mia posizione), portarmi in giro un giradischi mi è sempre sembrato elegante, ma anche un po' troppo. Sono anche io un fruitore di Spotify, vivo con le cuffiette alle orecchie per allietare i miei viaggi, brevi e non, per ascoltare la mia musica preferita. 

La cosa non rappresenterebbe alcunché di preoccupante se non fosse che, istintivamente, quella visione è diventata per me un vizio, nel momento in cui parte una canzone. Non ho mai avuto grandi doti canore, per cui da piccolo, come un perfetto cantante del Festivalbar, mi sono sempre dilettato nel playback, come Turk, delle canzoni che ascoltavo. Accompagnando col basso (che figata il basso, ragazzi), avventurandomi in azzardati assoli di chitarra elettrica, suonando la melodia con un pianoforte immaginario e coronando il tutto, ovviamente, con la mia preziosa batteria. Probabilmente i miei genitori avrebbero dovuto risolvere questo piccolo problema qualche anno fa, perchè questa cosa mi capita ancora adesso. Mentre passeggio e ascolto una canzone che mi carica, faccio finta di suonare la batteria di un pezzo. In metro mimo col labiale i testi delle canzoni che so a memoria con una sicurezza smisurata. Persino mentre attendo l'ascensore nel mio condominio, al piano terra, mi lascio prendere completamente dal ritmo. Ballo a tempo, suono, canto, come se mi trovassi sul palco dell'Arena di Verona. Il che sarebbe molto divertente, se attorno a me non ci fossero altre persone. Proprio davanti all'ascensore, l'altro giorno, mi sono fatto imbattuto in un discutibilissimo movimento perfettamente sincronizzato alla canzone che stavo ascoltando, nell'attesa di poter arrivare al mio piano. Peccato che in quell'esatto momento stessero uscendo delle persone dal portone affianco, che alla mia visione hanno abbandonato il palazzo con uno sguardo che definire compassionevole è dire poco. 

Finalmente mi sono liberato di un grosso peso nella mia vita. Se per caso doveste vedermi bisbigliare qualcosa mentre passeggio da solo per strada, non sono impazzito, è solo colpa di Spotify. Forse.






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