«Al fotosegnalamento Cucchi si rifiutava di prendere le impronte, siamo usciti dalla stanza e il battibecco con Di Bernardo è proseguito. Mentre uscivano dalla sala, Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Poi lo spinse e D'Alessandro diede a Cucchi un forte calcio con la punta del piede all'altezza dell'ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto:
"Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete". Ma Di Bernardo proseguì nell'azione spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi sbattè anche la testa. Io sentii il rumore della testa, dopo aveva sbattuto anche la schiena. Mentre Cucchi era in terra D'Alessandro gli diede un calcio in faccia, stava per dargliene un altro ma io lo spinsi via e gli dissi a "state lontani, non vi avvicinate e non permettetevi più". Aiutai Stefano a rialzarsi, gli dissi "Come stai?" lui mi rispose "Sono un pugile, sto bene", ma lo vedevo intontito».
Ecco. Leggere la deposizione di Francesco Tedesco, superteste in Corte d'assise per il processo sulla morte di Stefano Cucchi, fa male quasi quanto tutto quello che ha subito un ragazzo di 31 anni. Fa pensare, immaginare meglio di un film di Netflix, ragionare su quanta brutalità ci possa essere stata in una stanza di una caserma dei carabinieri, una notte di quasi dieci anni fa. Ma non trova giustificazioni, nè motivazioni, solo un po' di quella verità che le ombre dell'omertà hanno sempre nascosto, oltre ad ostacolare continuamente tante verità della nostra storia.
«Non ti preoccupare, ci penso io, devi dire che stava bene. Devi seguire la linea dell'arma se vuoi continuare a fare il carabiniere».
Ma la verità, questo termine così ignoto, ormai, e oscuro per così tante persone non può proseguire a essere un'utopia. Non di fronte alla dignità e alla coscienza umana. Non di fronte ai valori e alla libertà. Mi fa tristezza vedere lo Stato in cui sono nato, che è storicamente così piegato e sottomesso di fronte alla corruzione e alla bugia. Ad una collusione permanente, che tenta di sbiadire quei valori concretamente trascritti su una Carta, ma idealmente così vivi e reali. Non ce lo meritiamo. O forse sì. Perché tante volte non ci rendiamo conto di quello che ci sta succedendo sotto il naso. Preferiamo guardare il nostro orticello curando le nostre piante, non interessandoci di chi abbiamo intorno, ma lamentandoci solo se la pioggia che cade all'improvviso ci rovina il seminato. Un atteggiamento mafioso, muto, accondiscendente di fronte a ciò che sappiamo ma che non vogliamo sapere e che dimentichiamo prontamente per non avere problemi. Io, personalmente, non so se è questo lo Stato che voglio. So che purtroppo, molte volte, è lo Stato in cui vivo.
Mi spiego meglio. Di fronte a un episodio di così incredibile importanza storica, in questi anni si sono susseguiti numerosi pareri di grandissimi intellettuali del nostro Paese. Starli a citare tutti minerebbe l'intelligenza di chiunque. Ciò di cui non mi capacito però, e che mi fa avvelenare il sangue continuamente, è il fatto che tra queste menti illuminate non si parli una volta, che sia una, con cognizione di causa, con un briciolo di fondamento. Badate bene, spero sia chiaro: ci sono temi di importanza vitale all'interno di un Paese, che non hanno un colore politico, non corrispondono nè a uno schieramento, nè a un'ideologia. Corrispondono alla dignità umana, ai diritti sacri di ogni persona, all'essere uomini, sempre e comunque, prima che italiani, francesi, africani, americani o cinesi. Prima di avere una carta d'identità e una nazionalità abbiamo una vita, una sola cazzo di vita affidata a dei corpi umani. Considerarsi tutti uguali, in quanto esseri viventi, ognuno chiaramente diverso dall'altro, non vuol dire essere comunisti o grillini o fascisti. Vuol dire essere umani. Il 15 ottobre 2009 un ragazzo di 31 anni veniva arrestato per spaccio. Nel Paese che vorrei questa persona, semmai fosse davvero uno spacciatore, vorrei fosse arrestato e processato. E se colpevole, condannato. Nel Paese in cui vivo questa persona è stata arrestata, poi dopo una settimana è morta. "Un filo logico e la gente ci inciampa". Un filo logico che normalmente, nel Paese che vorrei, sarebbe stato analizzato senza remore alcuno. Che non avrebbe avuto bisogno di una donna che lotta con le unghie e con i denti per chiedere la normale verifica dei fatti. E che soprattutto non avrebbe avuto bisogno di scoprire una verità che tutti già sapevano, dopo dieci lunghi anni.
Adesso, nel mio Paese, dopo dieci lunghi anni chi doveva capire prima si è accorto che questo fatto è avvenuto. Anche il Comandante generale dell'arma dei Carabinieri. Ma soprattutto anche l'attuale ministro degli Interni, nonchè responsabile dell'ordine pubblico da cui dipendono le Forze dell'ordine, Matteo Salvini. L'altra mattina stavo leggendo sul Corriere ciò che era avvenuto in Corte d'assise. Mi sono imbattuto in varie dichiarazioni di politici, fino a quella del nostro ministro degli Interni che diceva queste cose.
«Chi sbaglia paga, anche se indossa una divisa, ma non accetto che l'errore di pochi comporti accuse o sospetti su tutti coloro che ci difendono: sempre dalla parte delle Forze dell'ordine».
Ma ministro Salvini, mi perdoni, chiedere giustizia per un essere umano morto in un carcere vuol dire accusare tutte le Forze dell'ordine? Non sarebbe bastato semplicemente chiudere la frase dopo "divisa"? Che motivo c'è di fare demagogia anche su questo? Per di più è abbastanza amareggiante e laconico leggere delle dichiarazioni rilasciate da Salvini qualche anno fa ai microfoni de "La Zanzara", quando non ricopriva cariche di governo.
«Capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma mi fa schifo. Dico che capisco il dolore di chi ha perso un fratello però è un post che fa schifo. Ricorda tanto il documento contro il commissario Calabresi. Ci sarà un 1% di chi porta una divisa che sbaglia e deve pagare, anzi deve pagare doppio se porta una divisa, ma io sto sempre e comunque con Polizia e Carabinieri e averne di Polizia e Carabinieri come quelli che abbiamo in Italia, la sorella di Cucchi si dovrebbe vergognare per quanto mi riguarda».
Quel "mi fa schifo", riguardo una foto del carabiniere Tedesco pubblicata da Ilaria Cucchi qualche anno fa, sa di beffa. Le parole che esprimeva (ed esprime tutt'ora) il ministro Salvini emanano uno spirito di contraddizione che muta tra una frase e l'altra. Per di più se parliamo di una persona, prima che di un ministro, che nelle scorse settimane ci ha dimostrato di essere stato il primo a esporre alla gogna social foto di ragazze che hanno avuto la malsana idea di andargli contro. Due pesi e due misure. Ma i conti non tornano anche quando la stessa persona che dice "sempre dalla parte delle Forze dell'ordine" approva una legge che invita a difendersi da soli, "delegittimando" per certi versi il ruolo di quelle stesse Forze dell'ordine. Ma quindi, "sempre dalla parte delle Forze dell'ordine" o "prima gli italiani"? Facciamo che "prima e sempre dalla parte degli uomini"? Dei loro ruoli, della loro dignità e delle loro vite. Perchè la vicenda di Stefano Cucchi dovrebbe essere un esempio di giustizia piena, che condanna delle persone che hanno sbagliato nel loro ruolo, ma che non rappresentano il resto dei colleghi delle Forze dell'ordine. Chiedere giustizia per Cucchi non vuol dire affossare le Forze dell'ordine, ma semplicemente punire, all'interno della nostra Repubblica democratica, secondo il nostro ordinamento giuridico, chi è colpevole e ha sbagliato. Fine. Senza mettere prima uno o l'altro. Senza stare dalla parte di nessuna categoria. Stando semplicemente dalla parte della verità. Di quella per cui a quanto pare si deve combattere con le unghie e con i denti e che nel Paese in cui vivo molte volte viene derisa. Ma io ci credo, me lo ripeto a denti stretti, anche se vedo tutto nero: che prima o poi, andrà tutto bene.
Arrestano un ragazzolo uccidono per spacciol’involuzione che fa specie trova consensola vita è un dono sacrol’eutanasia un peccatose muore un uomo in mezzo al mareè solo un immigratosi paga pure l’ariala gente non respirami chiedo ancora quanti sogni devo allo Statoin questo stato
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